Due racconti con sfondo garganico di Gianfranco Pazienza
VOLI ASCETICI
Alla terza notte di luna piena, quando la Valle Campanile è ancora
ben rischiarata, il frate dell’eremo del mulino si incammina portando per
l’occasione il pane appena sfornato e altre provviste.
Lì, sotto la màcina in pietra, sfarina il grano cresciuto nella terra portata a piccoli pugni, adagiata sulla roccia terrazzata, da noi coltivata in fiorenti “orti di vita”.
Lì, sotto la màcina in pietra, sfarina il grano cresciuto nella terra portata a piccoli pugni, adagiata sulla roccia terrazzata, da noi coltivata in fiorenti “orti di vita”.
E da qui, con ancora gli aromi dei semi mescolati al profumo dei
fiori e delle essenze, diverse in ogni stagione di cui si veste la valle, la
farina ritorna sostando di eremo in eremo.
Come ogni notte giunge dal monastero di Pulsano il consueto coro di anime: vagano con i canti gregoriani dell’ora mattutina, mescolandosi alla fragranza di quel cammino.
Come ogni notte giunge dal monastero di Pulsano il consueto coro di anime: vagano con i canti gregoriani dell’ora mattutina, mescolandosi alla fragranza di quel cammino.
Sotto il carico della
bisaccia con il passo lento va su e giù lungo i sentieri inerpicati alla
roccia, segue gli scalini scavati dal ruscellamento della pioggia e dal nostro
lento, meditato, faticoso lavoro. Porge la riserva alimentare scambiandola con
un sorriso e timidi sguardi, quasi ciechi: tacita preghiera di quel mattino in
attesa della prossima, per altri due mesi di autonoma sopravvivenza.
Quel gesto semplice e
generoso si rinnoverà ogni qualvolta visiterete questi luoghi, ripercorrendoli
con passo incerto.
Anche voi affiderete agli sguardi la gioia dell’altrui esistenza ritrovata e cercherete, con le mani protese a sfiorarsi, il sostegno nel cammino per elevarvi allo spirito che qui aleggia.
Con il sorgere del sole il suo pellegrinare prosegue indicato dalle ombre proiettate sulla falesia di dolomia, solcata dall’acqua come fa il sudore sulla fronte: sono le rughe del tempo e della fatica che caratterizza la valle degli eremi, rivestita di un’unica epidermide pietrificata, nel contempo porosa e vellutata.
Anche voi affiderete agli sguardi la gioia dell’altrui esistenza ritrovata e cercherete, con le mani protese a sfiorarsi, il sostegno nel cammino per elevarvi allo spirito che qui aleggia.
Con il sorgere del sole il suo pellegrinare prosegue indicato dalle ombre proiettate sulla falesia di dolomia, solcata dall’acqua come fa il sudore sulla fronte: sono le rughe del tempo e della fatica che caratterizza la valle degli eremi, rivestita di un’unica epidermide pietrificata, nel contempo porosa e vellutata.
Se incisa
con un punteruolo è facile lavorarla per decorare gli altari e affrescare le
pareti delle nostre povere dimore.
Già dal mattino la
processione di ombre appare con la basilica di San Michele, poi con l’eremo del
mulino, a mezzodì è la volta dell’eremo della rondine, al tramonto, quando lì
arriverà, apparirà nell’ombra di tutto il complesso monacale di Pulsano.
In quella sequenza a noi familiare, immaginiamo la gioia e la sofferenza di ognuno proiettata nella vita altrui.
In quella sequenza a noi familiare, immaginiamo la gioia e la sofferenza di ognuno proiettata nella vita altrui.
Difatti solo al nostro frate dell’eremo del mulino – siamo grati
per l’immane fatica a lui destinata - è dato di conoscere i volti di ciascuno.
È la regola: ogni due lune può lasciare il suo giaciglio per farci visita, ridistribuendo gli alimenti che da noi riceve, tenendo per il suo fabbisogno. In questo scambio di provviste io gli affido una stoppella di grano e, per questa stagione, un canestrello di fichi seccati al sole. Anche il miele è già pronto, le mandorle la prossima volta.
Dagli altri confratelli riceverà le fiscelle con le caciotte di latte di capra. All’eremo della rondine, prenderà un tomolo di buon grano; quel terrazzo sull’orrido è il più impervio sovrastato però da un terreno coltivato ben più grande, dove riesce ad allevare anche alcune pecore, producendo un prezioso formaggio.
È la regola: ogni due lune può lasciare il suo giaciglio per farci visita, ridistribuendo gli alimenti che da noi riceve, tenendo per il suo fabbisogno. In questo scambio di provviste io gli affido una stoppella di grano e, per questa stagione, un canestrello di fichi seccati al sole. Anche il miele è già pronto, le mandorle la prossima volta.
Dagli altri confratelli riceverà le fiscelle con le caciotte di latte di capra. All’eremo della rondine, prenderà un tomolo di buon grano; quel terrazzo sull’orrido è il più impervio sovrastato però da un terreno coltivato ben più grande, dove riesce ad allevare anche alcune pecore, producendo un prezioso formaggio.
In questo modo la rete
alimentare si dipana dal mulino, raccontando delle nostre vite: se mancherà il
pane o il formaggio, o le mandorle, sarà stata la carestia o il sonno della
vita eterna a portarci via.
Questa è la vita nella valle degli eremi dove ogni ora scandisce i gesti consueti e attenti con cui ciascuno cura il suo piccolo altare, oppure coltiva gli orti vitali della nostra comunità dispersa, sotto la protezione di enormi sagome tremule che volteggiano proiettate sulla falesia.
Questa è la vita nella valle degli eremi dove ogni ora scandisce i gesti consueti e attenti con cui ciascuno cura il suo piccolo altare, oppure coltiva gli orti vitali della nostra comunità dispersa, sotto la protezione di enormi sagome tremule che volteggiano proiettate sulla falesia.
Utile presenza di una coppia di capo vaccai: già dal mattino iniziano come spazzini a visitare le carcasse di animali abbandonati, cacciano serpenti e roditori, tengono pulita la valle e proteggono i nostri raccolti. Mentre il lanario, silenzioso sembra inseguire l’eco delle preghiere come a volersene nutrire, sospinto dalla corrente d’aria calda rotea tra le pareti spaventando gli animali che abbeverano nelle pozze del fondovalle.
Da sempre qui l’ingegno
più importante è dedicato a proteggere e tesorizzare l’acqua delle rare piogge,
prima che si disperda tra le ferite della pietra, e raccoglierla quando
distilla come nella grotta dell’Arcangelo: acqua taumaturgica, unguento per le
labbra arse e la pelle cotta al sole. Altra acqua si accumula durante la lunga
stagione secca, quando l’umidità dell’aria si condensa nelle cisterne
rifuggendo dal sole arido: insperata riserva, limpida e fresca.
Da questo silenzio ascetico ancora oggi possiamo levitare, sorvolando il poderoso acrocoro proteso nell’Adriatico verso la Terra Santa: è la vasta Montagna del sole, costellata dalla pietra consacrata dal sapiente lavoro degli uomini.
Abbazie torri castelli centri storici, cattedrali della natura, ne segnano la storia: possiamo ricostruirla attraverso i cammini millenari dei pellegrini; oppure osservando gli sfregi inferti a questa terra dura e fragile, i segni lasciati dai mutamenti del clima e il consumo del suolo.
Molte, purtroppo, sono le cicatrici dovute alle smemorate ricchezze di chi, venuto dopo, ha pensato di godere della protezione eterna.
Da quassù gli abusi e i difetti sono tali che gli stessi rifiuti
si confondono alle vite spezzate dei luoghi e delle persone.
Così, dal volo ascetico, riprecipitiamo in fondo alla valle, agli eremi, ove riproporre in silenzio la cura più efficace per far rinsavire i garganici e per lenire tali, crudeli, ferite.
Così, dal volo ascetico, riprecipitiamo in fondo alla valle, agli eremi, ove riproporre in silenzio la cura più efficace per far rinsavire i garganici e per lenire tali, crudeli, ferite.
LE DONNE DEL SUD
NON SONO SOLO SOLE
(FATTE A MANO)
a Rosetta Pirro e a tutte le altre
persone incontrate sul Gargano,
che amano e lavorano con passione per questo
“terroir”;
tutt’altro da chi, con la presunzione
di possederlo, lo trascura.
Con le porte sempre
aperte, ovunque protette da una tenda pesante, le voci fuoriescono ovattate;
una mano scosta la rete e appare a metà il bel viso e un bel seno.
Non mi chiede della
presenza estranea, interroga senza parlare.
A quello sguardo rispondo: cosa
sono gli spicchi rossi? Pomodorini spaccati essiccati al sole, una parte della
tela di Arcimboldo fatta di melanzane a fette, conserva essiccata di pomodoro,
capperi, piante di basilico, prezzemolo, salvia e rosmarino, mazzetti di
origano. Collane di carrube e variopinti pomodorini e peperoncini. Fichi e
mandorle ad essiccare in cesti intrecciati di rami sottili; anche la pasta
fatta a mano, piccole orecchiette di farina di grano duro, ingiallisce al sole.
Quei prodotti, sistemati con cura, sono il libro di ricette da sfogliare
all’aperto.
Il giardino senza terra
intorno lo aveva ereditato dai nonni; affidata alle loro cure i genitori erano
andati ad arrugginire nei freddi turni nella fabbrica del nord. Il nonno in
particolare si era adoperato per farla crescere, attento ad ogni sua richiesta:
lei era il frutto più bello di quel giardino.
Tutte le mattine lui si recava a
irrigare gli orti fiorenti e i giardini di arance con l’acqua della sorgente di
cannella, facendola scorrere
attraverso i formili in pietra. Era il suo lavoro, il solo ingegnere di quei
fontanili: l’acqua passava di pianta in pianta, di conca in conca, di terrazzo
in terrazzo fino a “molino di mare”.
Sfogliando i ricordi della
sua storia esce e porta un bicchiere di acqua ghiacciata con latte di
mandorla, sul vassoio arricchito di variopinti frutti in miniatura: castagne,
mandorle, noci, fichi d’india, ciliegie, tutti fatti di pasta di mandorla e
decorati.
Li aveva visti creare dalle mani abili di sua nonna, ne conservava la
ricetta solo ripetendo quei gesti premurosi. Gustoso ristoro in quel giardino:
vasi di latta e di plastica, ciascuno con la propria pianta; persino la vigna
di uva spina si fa pergola, trae linfa dalle pietre con le radici del tralcio.
Un leggero movimento
dell’aria, al profumo di zagare rose gerani, di anice e basilico, in quel
momento le spettina e le fa svolazzare l’abito leggero. Lo ferma imbarazzata
con il braccio e quelle movenze graziose mi invitano a seguirla; senza dir
nulla apre la porta accanto per farmi entrare nel suo laboratorio, fatto di
ricordi e di arte.
Una grotta scavata nel
calcare bianco, come la nicchia e la statua di San Michele con la spada, bianca
di calce: qui la protezione dell’arcangelo abita ovunque sulle case. Quel santuario artigianale sapeva di
pulito e di fresco, a prova di igiene di certi disciplinari. Nella penombra
gli occhi luminosi illustravano le sue creazioni: un telaio di legno di
castagno, armato di gomitoli e filati colorati con utensili di legno di
ciliegio e radica di ulivo, riempiva lo spazio di mezza stanza.
Lo aveva costruito con il
nonno anzi, ricostruito. I tessuti riposti ordinati uno sull’altro erano le
trame variopinte delle sue storie, dei suoi desideri, raccontavano la sua vita.
Nel suo regno era ancora più bella; non conoscevo il suo nome, la familiarità
di quei momenti non prevedeva imbarazzanti presentazioni.
Oltre al suo laboratorio
voleva farmi visitare quello della sua amica Rosetta Pirro, in un paese vicino,
poco distante dal mare; visto l’interesse, mi affido a lei decidendo di
andarci subito. Il breve tragitto è ammantato di mistero di racconti e magia a
me sconosciuti, conservati nelle strofe cantate nelle calde serate,
accompagnate con musiche e danze popolari.
Contaminazioni culturali
affascinanti sopravvivono sul Gargano grazie all’eredità dei Cantori con la voce calda e
innamorata di Antonio Piccininno, splendido novantenne capace ancora di incantare
con la bellezza seducente.
In silenzio a lei dedico
quel corteggiamento, bella, per niente turbata dall’avere i capelli ricci
spettinati. Col breve viaggio, sospese tra il cielo e il mare, ci inoltriamo
nei microcosmi della Montagna del Sole,
definizione perfetta per un promontorio proteso verso l’oriente, specchiato nei
due laghi di Lesina e Varano, due occhi di taglio diverso bagnati dal mare.
Sempre con più fascino usa
le metafore delle Quattro stagioni del
Gargano: immagini di mondi contadini che mutano dentro paesaggi naturali;
mi parla con familiare confidenza di Matteo Salvatore, un altro cantore di
quelle bellezze e di quelle storie.
Tutte queste annotazioni rendono la
geografia del Gargano romantica, s’inoltra nel dedalo di valloni che penetrano
il massiccio montuoso, anche dal mare; sono unici gli scenari nel fondo valle
del torrente Romondato dove, cosa rara d’estate, una piccola sorgente sgorga
tra noduli di selce.
Ci si va per sfuggire alla
calura o cercar funghi, verso la Fulecara faggeta depressa fresca e rigogliosa. Resto affascinata da
quella sua straordinaria conoscenza di luoghi e di ambienti, così
minuziosamente descritti.
Le chiedo se le piacerebbe accompagnarmi, avremmo
potuto visitare il canale il giorno successivo.
Il viaggio di quel giorno
si ferma all’ingresso del centro storico: noi dobbiamo seguire per il rione
Terra, appunto. La strada conduce alla casa-laboratorio della sua amica. Oltre
il portone di legno, aperto anche di notte, la porta a vetri con due tendine
stile provenzale dava l’ingresso a una fiaba.
Alambicchi di vetro e rame per i
rosolii, ciotole con canditi di bucce d’arancia e cioccolato, mandorle tostate
e pestate, zucchero caramellato e farina sui fornelli e la cucina, gusci
d’uovo aperti sul ripiano di marmo.
Dolci sospiri della sposa davano il benvenuto in quella che diventa
un’altra storia, fatta di donne un tempo sole, di carezze e di dolcezze, di
cura.
Rosetta Pirro, Apricenese trsferita a Vico.....
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